Un capolavoro di Antonello: Girolamo nello studio, ossia…

1)L’interpretazione del “Girolamo” antonelliano: un vero rompicapo.

 

  Vi sono delle opere d’arte del passato che si impongono alla generale ammirazione di noi moderni per il loro indiscutibile pregio artistico e per il fascino che continuano a esercitare a distanza di molti secoli, ma che fanno ammattire e litigare pubblico e studiosi per via del loro contenuto, essendo cariche di elementi allegorici di vario tipo il cui significato è spesso ambiguo e non facilmente decifrabile isolandoli dal loro contesto storico e culturale, e si prestano perciò a interpretazioni diverse e contraddittorie. Una di queste opere  è il cosiddetto “San Girolamo nello studio” di Antonello da Messina, un autentico gioiello pittorico del periodo rinascimentale, ma un vero rompicapo per chi non si accontenta del semplice godimento estetico, ma vorrebbe penetrare il vero significato dell’opera e riuscire ad afferrarne l’Idea portante, e anche “le idee”, che si agitavano nella mente dell’artista, mentre  arricchiva il quadro di tutte quelle figure allegoriche, che dovevano pur significare qualcosa, se egli volle collocarle in così evidente risalto.Un altro aspetto enigmatico del dipinto riguarda certe evidenti anomalie spaziali–architettoniche, non essendo chiaro se la scena si svolga in una chiesa o in una grande sala, né se l’artista si sia ispirato a un edificio reale o l’abbia semplicemente immaginato. E che dire di quella monumentale libreria–studio, collocata in modo così improbabile al centro della scena sotto quelle altissime absidi? Anche la figura  di Girolamo in veste di cardinale desta non poche perplessità, perché ha un atteggiamento e un postura troppo da umanista raffinato che da studioso asceta,  per vedervi la raffigurazione del santo così come era allora visto nell’immaginario collettivo; è così che sono in molti a pensare a un personaggio reale (forse il committente dell’opera) che Antonello immortalò nelle vesti del santo, e che purtroppo non si riesce in alcun modo ad individuare con certezza appagando la nostra legittima curiosità.

Tutte queste domande e altre questioni irrisolte assumono per molti il sapore di una provocazione, ed è comprensibile come diversi specialisti e storici dell’arte abbiano avvertito come una specie di dovere verso se stessi e verso i propri lettori  quello di non limitare in questo caso il loro contributo di studiosi alle sole analisi stilistico–formali, ma di tentare una lettura più o meno approfondita dell’opera relativamente al contenuto per spiegare il significato dei vari simboli e quello più generale del dipinto. Ciò comporta inevitabilmente dei rischi: quanto più il commento cerca di essere particolareggiato ed esaustivo, tanto più ci si espone (specie se la lettura non risulta convincente) alle critiche di altri studiosi di rigida formazione “scientifica” e alle accuse di fantasiosità e autoreferenzialità. E’ per questo che i più riducono al minimo la lettura dell’opera  fornendo solo una specie di elencazione descrittiva (più o meno forbita) dei particolari più curiosi e originali.

Il tentativo forse più appassionato e coraggioso di lettura del Girolamo antonelliano è quello fatto qualche anno fa (2003) da Lionello Puppi[i], il quale prima di avventurarsi nella sua interpretazione del dipinto non risparmia di lanciare preventivamente uno strale velenoso “contro la sicumera di un filologismo ottuso e paranoico, incapace di guardare e di vedere oltre la crosta del quadro”. Nonostante però il diligentissimo lavoro esegetico, ricco di spunti originali e interessanti e sorretto da uno stile brillante e suggestivo, non si può dire che il risultato finale sia stato molto soddisfacente. E del resto lo stesso studioso è costretto ad ammettere a conclusione del suo lavoro che i diversi elementi da lui raccolti e illustrati possono, sì, aiutare a dare un significato generale all’opera, ma non a risolvere il problema che più gli stava a cuore, quello cioè di scoprire il “ritratto nascosto” nella figura del cardinale, che sicuramente deve esserci, ma a cui non riusciamo a dare un nome  per la mancanza assoluta del più piccolo dei segni,  compreso quel biglietto senza nome che il pittore ha appeso alla libreria per attirarci, lasciandoci poi con un palmo di naso e con l’amaro sapore in bocca dell’ “enigma beffardo”.

La fragilità di alcune argomentazioni e l’inutile fatica della ricerca del “ritratto nascosto” hanno dato agio al Lucco[ii] di stroncare senza mezzi termini tutto l’impianto esegetico del Puppi e di smontare in particolare l’ipotesi del ritratto nascosto (“un gioco identificativo”) mediante ragionamenti dalla logica apparentemente inoppugnabile, fino ad arrivare a negare qualsiasi significato allegorico all’opera di Antonello:

 

“ Non si vede, insomma, una sola ragione al mondo, per cui questo San Girolamo nello studio non possa essere semplicemente quello che dichiara di essere apertis verbis: un’immagine in cui la fantasia del pittore si concede qualche piccolo margine di libertà iconografica, alfine d’esibire al meglio le sue straordinarie doti pittoriche.  Non è del resto dei grandi geni di spostare sempre più in là i margini culturali socialmente riconosciuti, rimanendo insieme comprensibili a tutti?”

 

Non è chiaro se questo giudizio il Lucco lo voglia estendere anche a tutte le altre  opere di sospetto contenuto allegorico di artisti del rinascimento o se debba essere limitato al solo Girolamo antonelliano; nell’uno e nell’altro caso una tale affermazione ha perlomeno lo stesso vizio dell’autoreferenzialità che viene dallo stesso addebitato al Puppi. Altra cosa è affermare che molti dei significati allegorici introdotti da artisti del passato nelle proprie opere per via di immagini simboliche si sono via via oscurati nel corso del tempo e risultano per noi perduti o incomprensibili, altra cosa è risolvere il problema della complessità di un’opera di evidente contenuto allegorico svuotandola di significati e riducendo tutto l’apparato simbolico a semplice pretesto pittorico per esercizi virtuosistici fini a se stessi.  Mai l’arte è stata così sovraccarica di “pensiero” e di allegoria  (religiosa, filosofica, politica,sociale) come nel Rinascimento, e questo forse rappresenta un suo limite. Ci si potrebbe semmai chiedere se sia indispensabile o se valga la pena per lo studioso d’arte o per il semplice fruitore occuparsi dei contenuti di un’opera quando questi  risultano, oltre che ostici, estranei al nostro sentire e culturalmente superati. Ma anche qui , pur concedendo l’assoluta preminenza al semplice godimento estetico, che non ha bisogno di aride mediazioni intellettualistiche, nessuno può negare che un’opera d’arte ci coinvolge tanto maggiormente quanto più se ne comprende il significato e si entra in sintonia con la mente dell’artista. E che dire delle tante opere di artisti mediocri o sconosciuti, che ci appaiono artisticamente insignificanti e alcune proprio brutte, ma che si rivelano talora preziose per la storia della cultura proprio per il loro contenuto? Certo non sono molte le opere in cui alla ricchezza o profondità dei contenuti corrisponda  un’elevata perfezione formale e una sublime qualità artistica, ma quando ciò succede ci si trova davanti ai grandi capolavori, che meritano di essere fruiti e goduti fin nelle più sottili sfumature stilistiche e nei significati più reconditi.

Io non so se il Girolamo di Antonello possa essere considerato uno di questi grandi capolavori, ma certo vi si avvicina molto e ciò si deve non solo alla prodigiosa perfezione pittorica che viene da tutti riconosciuta al dipinto, ma alla complessa e genialissima concezione dell’opera: è un esempio pressoché perfetto, da manuale dell’arte pittorica, di opera colta del genere allegorico concepita dall’autore secondo il criterio dei diversi livelli di lettura. Mediante l’uso sapiente e smaliziato di vari elementi allegorici dal carattere spesso ambiguo e “usando” il classico tema iconografico del San Girolamo nello studio, Antonello realizza pittoricamente con una sola immagine fissa una sorta di caleidoscopio, le cui fonti di luce o specchi sono gli occhi e l’intuito dello spettatore, il quale affacciandosi sulla scena attraverso il portale (“finestra ottica”) la illumina da prospettive diverse e con maggiore o minore intensità: ne risultano “letture” variegate e addirittura contrastanti, ma tutte coerenti e plausibili. Il vero gioco però consiste, partendo dal livello di lettura più semplice ed elementare,  nello scoprire e individuare attraverso l’interpretazione dei simboli i livelli successivi di lettura, fino all’ultimo, che è il più importante ed anche il più abilmente camuffato. Ciò si chiarirà man mano che procederemo a esaminare uno a uno i vari livelli.

 

 

2) Una lettura a più livelli

 

Il problema dei livelli di lettura nell’arte figurativa è stato spesso dibattuto fra gli storici dell’arte e sono in molti a negare che un simile metodo esegetico – che troviamo qualche volta teorizzato in campo biblico o letterario (si pensi a Dante e ai suoi quattro livelli di interpretazione della Commedia ) –  sia stato mai espresso per via teorica anche in pittura o nelle varie arti figurative[iii]. Non è qui il caso di affrontare un tema così complesso, che richiederebbe molto spazio e che forse lascerebbe alla fine il tempo che trova, ma, per semplice logica, non si capisce perché in un’epoca in cui la pittura era ancora considerata “una poesia muta”, un pittore colto non dovesse perseguire un ideale artistico che era praticato in campo letterario. Proprio per via del carattere ambiguo delle immagini e plurisemantico dei simboli era addirittura ancor più agevole per un pittore, rispetto a chi doveva servirsi della parola scritta, celare nelle proprie opere contenuti di vario genere, anche i più arditi e spregiudicati, senza correre rischi di censure. Ad ogni modo, credo che la cosa migliore per convincere gli scettici sia mostrare un esempio pratico di applicazione in pittura del metodo di lettura a più livelli servendoci proprio del Girolamo di Antonello, che   è quanto di meglio si possa trovare.

Seguendo uno schema di tipo dantesco proporrò di seguito quattro livelli di lettura, disponendoli in ordine crescente di difficoltà, con l’ovvia avvertenza che qualche particolare può essere inesatto, nè si pretende di spiegare tutto. Ciò che preme al sottoscritto è non solo svelare altri significati dell’opera finora non messi in luce e risolvere finalmente l’enigma della identificazione del personaggio raffigurato, ma di esaltare la genialità di Antonello nella concezione di quest’opera e dare pure plausibilità a un metodo di lettura che potrà essere applicabile anche ad altre opere del medesimo genere allegorico.

 

a) 1° livello –  San Girolamo nello studio “apertis verbis”.

 

Il primo dei livelli di lettura è il più immediato e “superficiale”: l’occhio dello spettatore si ferma, per così dire, all’epidermide del dipinto appagandosi di tutto ciò che esso gli manifesta in termini di bellezza, di suggestioni cromatiche , di armonia, di perfezione stilistica, senza interrogarsi oltre per scoprire dei “significati” in aggiunta a quelli già di per sé evidenti. Tutta l’attenzione è rivolta all’aspetto estetico e su questo vertono le analisi più o meno colte e penetranti dei vari critici o storici dell’arte e i commenti più o meno entusiastici e pertinenti dei semplici ammiratori. Riguardo al contenuto dell’opera si può perciò dire in generale che questa del primo livello è quasi una “non lettura”, o perché si dà al soggetto rappresentato (specie quando è di carattere sacro) un valore di semplice “materiale iconografico” da repertorio o perché si opta per una lettura “realistica” del fatto narrativo. Anche quando ci si trova di fronte a scarti significativi del tema iconografico( come nel nostro caso il leone che è distante da Girolamo) e a enigmatici simboli di carattere allegorico, li si valuta come capricci d’artista e semplici motivi ornamentali.

Un esempio di lettura di primo livello del Girolamo antonelliano è quello del Lucco, secondo il quale il contenuto del dipinto è semplicemente quello che a noi si manifesta “apertis verbis”: la leggenda di San Girolamo nello studio. Metterci qui a raccontarla non mi sembra il caso.

 

b) 2° livello – Lettura allegorica in chiave positiva: il santo umanista o l’umanista santo.

 

  Il secondo livello di lettura è quello che vuol dare  un significato allegorico al quadro, per via dei molti oggetti simbolici in esso presenti e messi per di più in grande risalto dall’autore in modo certamente intenzionale. Il problema non è solo quello di comprendere il significato allegorico di ogni singolo elemento, cosa già di per sé ardua per via della ambiguità di molti simboli, ma di collegarli fra di loro in modo coerente per dare una lettura unitaria all’opera e coglierne il significato centrale.

  La maggior parte degli studiosi che hanno finora formulato delle ipotesi di lettura del Girolamo antonelliano, pur con qualche distinguo e talune perplessità derivanti dalla indubbia negatività di certi simboli, concordano tuttavia sostanzialmente nel dare al quadro un significato positivo. Il personaggio rappresentato ( reale o immaginario che sia)  vorrebbe essere la riproposizione in chiave umanistico–rinascimentale di quell’ideale di perfezione incarnato un tempo dal grande santo–asceta e che consiste nel  pieno ed equilibrato possesso sia delle virtù morali raggiungibili attraverso il severo esercizio ascetico, sia dei tesori della conoscenza che si conquistano attraverso lo studio intenso  e l’esercizio assiduo  del pensiero. Il dominio sulle passioni è simboleggiato dal leone al quale, secondo la leggenda,  il santo “ha tolto la spina” e che da ora in poi può agire in senso positivo incanalando al bene le sue doti di forza e di coraggio (nel quadro di Antonello esso  “passeggia” tranquillo); il traguardo della conoscenza è simboleggiato dal superamento dei tre gradini della scala ( il trivio?) e dalla presensa nel piano della biblioteca dei numerosi tomi (diversi dei quali sono aperti) delle scienze superiori, di cui la più elevata è la teologia. I tre simboli negativi che si vedono in primo piano (pernice=lussuria, pavone=superbia e bacile=vanità) rappresenterebbero i vizi o difetti più insidiosi,  che impediscono a chi non se ne sia completamente liberato di “oltrepassare la soglia” (il limen) per essere accolto nel tempio della conoscenza, ove si percorre quella via iniziatica che eleva per gradi fino alle più alte vette dello spirito. Alcuni vorrebbero dare anche a questi simboli un significato positivo, ma ciò non è necessario.

Qualche perplessità invece sorge per la presenza del gatto all’interno del sacrario  e per quella tovaglia appesa che sembra sporca. Il gatto nell’iconologia occidentale ha sempre un significato negativo ed  è simbolo di tradimento, tanto da venire identificato talora col demonio; il vederlo associato in un medesimo ternario accanto a simboli cristiani e mariani (garofano= l’amore sacrificante e bosso–albero della vita = immacolatezza–immortalità) non può non destare un qualche sconcerto. Qualcuno ha osservato che il gatto volta le spalle ai due simboli sacri e allo stesso Girolamo, come se non potesse sopportarne la vista, ma ciò non è molto convincente e non basta da solo a giustificarne la presenza, tanto più che sopra il gatto pende pure la tovaglia sporca.     Una spiegazione forse più confacente potrebbe essere questa: anche dopo aver percorso i primi tre gradini iniziatici, l’anima dell’uomo (=la tovaglia) non è ancora completamente purificata e occorre perciò una estrema vigilanza per dominare e respingere gli assalti del “gatto dentro di noi “(= i bassi istinti) che finge di sonnecchiare, ma che è sempre pronto risvegliarsi all’improvviso e colpire.

Si potrebbero cercare altri significati allegorici nei numerosi oggetti situati in ordine sparso negli scaffali della libreria, ma credo che non aggiungerebbero molto a quanto abbiamo già delineato come significato principale. Tutt’al più si può aggiungere una certa coloritura di francescanesimo che Antonello ha voluto dare alla figura idealizzata dello studioso asceta, per significare che anche “da  cardinale”, e cioè da alto iniziato, egli non deve perdere la povertà di spirito e l’umiltà interiore simboleggiate dagli zoccoli ai piedi della scala e dalla sottotonaca marrone, entrambi simboli francescani.

 

c) 3° livello –  Lettura allegorica in chiave negativa: critica agli ecclesiastici.

 

E’ un po’ sorprendente che pochissimi fra coloro che si sono occupati con una certa profondità del Girolamo di Antonello abbiano capito o almeno sospettato che il dipinto, per i molti elementi ambigui o apertamente negativi che presenta, possa anche essere coerentemente letto in chiave negativa, nel senso che esso celi una pesante critica agli ecclesiastici del tempo. Forse pesa nel giudizio di molti una specie di condizionamento psicologico o un certo cliché: si pensa che quando un artista del ‘400 doveva trattare un tema religioso, pur servendosi talora di simboli e allegorie, lo faceva nel modo più serio e positivo e entro i confini della più stretta ortodossia; per cui, basta vedere in un dipinto la presenza di un “santo” ( anche se questi non ha l’aureola), per essere presi già da un senso di riverenza. Un altro condizionamento è quello di ritenere che dietro ogni opera (anche quando è di modeste dimensioni) ci debba sempre essere un committente ( che nel nostro caso dovrebbe essere un personaggio di un certo prestigio,ivi  effigiato in vesti da cardinale), ed è difficile ritenere che l’artista si sia preso gioco di lui inserendo nell’opera dei significati tendenziosi.

Ora, a parte il fatto che non è per niente sicuro che quest’opera di Antonello abbia avuto un committente, si potrebbero fornire diversi esempi di arte “laica” (specie pittorica) di questo periodo rinascimentale in cui l’artista esprime più liberamente se stesso trattando temi di vario genere (e non sempre a scopo celebrativo ) che incontravano i gusti del pubblico e trovavano con una certa facilità degli acquirenti. Se si ammette questa possibilità e ci si libera dei precedenti pregiudizi, il terreno rimane sgombro per una lettura del Girolamo in chiave apertamente negativa, che è non meno plausibile di quella già fatta in chiave positiva, e soprattutto è assai più corrispondente alla personalità di Antonello, alle sue idee e ai suoi sentimenti.

Fra i pochi dati biografici che i documenti notarili ci hanno provvidenzialmente conservato su Antonello e che ci permettono di avere  almeno una qualche idea sul suo carattere e sulla sua personalità, quello di gran lunga più significativo è il testamento. Una stupefacente clausola in esso contenuta è quella concernente le onoranze funebri, che il pittore prevedeva particolarmente solenni, consapevole della sua celebrità: con perentoria chiarezza il moribondo ordina che officiassero alle cerimonie funebri solo i monaci Osservanti del convento di Santa Maria di Gesù, ove voleva essere sepolto vestito dell’abito francescano; viene categoricamente rifiutata la presenza dei canonici della Cattedrale, di qualsiasi altro clero e soprattutto dei francescani Conventuali . Un simile richiesta, fatta in punto di morte e non dettata da un generico desiderio di semplicità, la dice lunga su quali fossero i sentimenti di Antonello nei confronti di tutto il clero locale e non solo di quello.C’è da chiedersi se queste ultime volontà furono veramente rispettate o se non siano scoppiati dei seri incidenti fra i parenti e le autorità religiose locali in occasione delle esequie: Antonello era ormai persona troppo celebre anche fuori Messina perché i canonici e lo stesso vescovo digerissero un affronto simile di fronte a tutta la cittadinanza e alla nutrita colonia di stranieri  presenti in città o intervenuti per la circostanza. C’erano forse anche gli estremi per negare i funerali religiosi a un cristiano che era morto non in pace con i rappresentanti ufficiali della chiesa, che al di là dei loro personali difetti, erano pur sempre rivestiti della dignità del sacerdozio.

Partendo da questo dato biografico Giuseppe Miligi in un pregevole saggio sul francescanesimo di Antonello e di Eustochia Calafato[iv] suggeriva anni fa di leggere l’intera produzione pittorica dell’artista messinese in chiave di Francescanesimo Osservante, rigorosamente ispirato ai valori della povertà e religiosamente incentrato sul tema del Cristo sofferente, o del “Christus patiens” (si pensi alle numerose e quasi ossessive rappresentazione antonelliane del Cristo in croce, coronato di spine, flagellato, incatenato…), e io aggiungerei anche della “Maria patiens”, se vogliamo dare un significato a quella palma, simbolo di martirio, che l’angelo consegna a Maria al posto del giglio nell’Annunziata di Palazzolo Acreide. Chi pensasse che i dipinti antonelliani sugli eventi del Golgota avessero solo un significato pietistico sbaglierebbe di molto: Antonello vuole attraverso di essi raffigurare il dramma sempre attuale della Passione del Cristo, il quale continua a soffrire per  le colpe degli uomini, e per questo vediamo talora sullo sfondo dei paesaggi molto realistici e “moderni”.

Se ora ci affacciamo al quadro con questa  nuova ottica antonelliana di francescanesimo osservante, molti particolari cominciano ad illuminarsi di una luce diversa, l’atmosfera diventa un po’ cupa e fredda , diversi simboli allegorici ci si rivelano in tutto il loro significato negativo, ed anche la figura severa di quel cardinale, così rigidamente teso e chiuso in se stesso, inizia a farci una certa antipatia. La lettura che pian piano ci si dischiude è assai diversa dalla precedente e si può dire che ne diventa proprio l’opposto. Si comprende il vero significato metaforico di quella volta absidale tetra e lugubre, ove si vede baluginare appena la piccola sagoma di un crocifisso, mentre la fioca luce che penetra dalle alte finestre proietta dei bagliori quasi sinistri sulle severe arcate a sesto acuto, e anche gli uccelli che si intravedono  in alto al di là delle finestre non riescono a rallegrarci e incutono anch’essi un certo senso di tristezza, se non cattivi presagi. Comprendiamo che quella non è l’abside di “una chiesa”, ma “della Chiesa”, così come la vedeva Antonello al suo tempo, avvolta dalle tenebre in uno dei periodi più bui della sua storia: una chiesa che aveva quasi messo il Cristo in soffitta.

Alla base dell’abside dovrebbe trovarsi un altare, ma lo possiamo solo immaginare: esso è oscurato e sostituito dal grande mobile in legno ove troneggia un cardinale tutto intento a cibarsi avidamente dei suoi libri, diversi dei quali stanno aperti sugli scaffali, come se li volesse divorare tutti in una volta. Anche qui ci rendiamo conto che quel prelato che ha sostituito al culto sacro quello per i classici, non è un determinato cardinale , ma il rappresentante di tutto il clero titolato, quello che sta sugli alti gradini, che ormai non usa più “gli zoccoli” e che ostenta una sapienza tutta esteriore e farisaica, mentre la sua coscienza (la tovaglia) è imbrattata e sozza e il gatto (il diavolo) la fa da padrone, pur in presenza dei simboli cristiani cui tranquillamente volta le spalle. Come meravigliarsi se quelli che stanno al di sotto dei gradini, abbandonati ormai dai pastori, si sono dati a ogni sorta di vizio e hanno trovato i nuovi idoli nella lussuria , nella vanità egoistica e nel denaro?

Il nostro sguardo si sposta su quel colonnato di destra un po’ meglio illuminato sotto il quale avanza la sagoma scura di un leone, quel leone cui un giorno San Girolamo tolse la spina: stranamente egli non sta accovacciato ai piedi del santo, ma passeggia distante. Se avviciniamo l’occhio per osservarlo più attentamente da vicino, ci accorgiamo che il suo volto (quasi umano!) esprime sofferenza, la bocca è semiaperta come per uno spasimo di dolore e presto ne comprendiamo il motivo, notando la zampa anteriore destra piegata in modo anomalo (è incredibile che nessuno dei commentatori abbia notato questo particolare importantissimo): egli ha ancora la spina al piede! Chi è il leone? Quel leone è il Cristo stesso, il “leone della tribù di Giuda”, la cui opera redentrice non si è esaurita sul Golgota, ma continuerà fino alla fine dei tempi, quando egli stesso aprirà i sigilli del libro, come vaticinato dall’Apocalisse (V,4–5). Nel frattempo egli continua a tornare fra gli uomini, che continuano a flagellarlo, a coronarlo di spine a causa dei loro peccati, e spera di trovare sollievo nella sua chiesa: ci sarà anche questa volta un Girolamo capace di togliergli la spina? Non sarà certo quel cardinale che gli volta le spalle e nemmeno si accorge di lui a soccorrerlo, preso com’è dai suoi adorati libri.

Potremmo continuare leggendo altri piccoli dettagli nella medesima ottica negativa, ma il significato fondamentale ormai è chiaro: è una critica che sfiora l’invettiva contro tutti gli ecclesiastici corrotti del tempo, che inseguivano solo onori e carriere e si impinguavano di frivola erudizione. E’ la stessa critica che Dante faceva qualche secolo prima ai cardinali di santa romana chiesa (allora interessati solo ai Decretali) ed espressa in questi versi della Commedia, che sono il miglior commento al dipinto, se letto nella chiave suesposta:

 

Per questo l’Evangelio e i dottor magni

                                         son derelitti e solo ai Decretali

                                         si studia sì che pare ai lor vivagni.

 

                                         A questo intende il papa e i cardinali:

                                        non vanno i lor pensieri a Nazarette,

                                        là dove Gabriello aperse l’ali.

 

                                        Ma Vaticano e l’altre parti elette

                                       di Roma, che son state cimiterio

                                       alla milizia che Pietro seguette,

 

                                      tosto libere fien de l’adulterio. (Par. IX,133–142)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

d) 4° livello  -  Il personaggio: una pasquinata pittorica.

 

L’ultimo dei livelli di lettura è quello più difficile, perché i suoi contenuti, in queste opere a carattere allegorico, sono in genere assai abilmente camuffati e resi quasi impenetrabili, se non si trova la chiave giusta. I motivi di questo lavoro di occultamento da parte dell’artista di quello che era (almeno nelle intenzioni) il più importante o più elevato significato dell’opera possono essere diversi (anche in certi casi il semplice gusto per l’enigma), ma in generale si può dire che per qualche motivo giustificato l’artista riservava certi speciali contenuti solo a coloro che “sapevano” e che erano in grado di interpretare nel giusto modo certi segni, mentre ne vietava l’accesso a tutti gli altri. Era questo spesso il modo più sicuro di proteggere se stessi da eventuali ritorsioni quando il contenuto dell’opera era troppo ardito o poteva destare scandalo. Nel nostro caso i motivi dell’occultamento da parte di Antonello c’erano tutti, perché il contenuto che veniva celato nel suo dipinto aveva veramente un carattere esplosivo, in quanto veniva preso di mira in modo tutt’altro che benevolo un personaggio molto in vista e assai potente.

L’errore di coloro che hanno cercato senza successo nel Girolamo antonelliano il “ritratto nascosto” di un personaggio dell’epoca è quello di averlo cercato a coronamento di una lettura in chiave positiva (2° livello o poco più). In tal modo si sono esposti a una  facile obiezione , che è quella espressa dal Lucco mediante un ragionamento dalla logica impeccabile: che razza di artista è un pittore che fa un ritratto su committenza a un personaggio di rango e si adopera per renderlo irriconoscibile? Se invece essi fossero approdati al 3° livello, quello della lettura precedente, avrebbero senz’altro compreso che, volendo restringere l’obiettivo su un determinato personaggio, non dovevano aspettarsi di vedere nella figura del cardinale un “ritratto”, ma semmai un “antiritratto”, e scoprirne l’identità per altri segni presenti nel dipinto.

Già per via d’intuito, il primo personaggio cui è quasi d’obbligo pensare  in coerenza con la lettura precedente come ipotetico bersaglio di Antonello è quello che per antonomasia rappresentava gli ecclesiastici: il cardinale dei cardinali, il capo dei capi della chiesa e cioè il papa in persona, che all’epoca in cui con ogni verosimiglianza fu dipinto il quadro era Sisto IV. Naturalmente non basta avere avuto questa bella intuizione, ottenuta per via logica, per considerarla già come avvenuta identificazione sulla base solo di verosimiglianze storiche o di ragionamenti deduttivi : bisogna fornire validi elementi di prova che confermino l’esattezza della intuizione ricavandoli dall’opera stessa, tralasciando ogni altra considerazione “esterna”e scovando nel dipinto tutti quei segni che Antonello ha lasciato per guidarci a capire e che non sono affato facili da individuare a questo quarto livello per ciò che s’è detto. Ma ci sono davvero questi segnali, se tanti ci hanno provato senza trovarli? Sì, ci sono, e anche in abbondanza, ma questa volta servono buone conoscenze storico–letterarie, parecchio acume …e anche un po’ di spirito.

Partendo dalla figura del cardinale, ed escludendo ovviamente il “ritratto” o segnali troppo scoperti, ci sono tuttavia degli indizi che ci aiutano a restringere il campo e addirittura a capire subito di che cardinale si tratti. E’ stato già notato dal sottoscritto e da altri che il colore della mantella che si vede nella zona del petto sotto l’abito cardinalizio richiama quello dei francescani (più esattamente dei conventuali). Un altro chiaro simbolo francescano sono gli zoccoli ai piedi della scala; essi non sono lì disposti a caso, ma artatamente a forma di T, per significarci il TAU o “croce di S.Antonio”, che era un altro simbolo dei francescani conventuali (nel quadro di Melozzo da Forlì il personaggio in ginocchio indica col dito gli zoccoli del papa col segno del TAU). Se quel cardinale era un francescano, era probabilmente l’unico di quest’ordine assurto a questa carica (non è che allora i cardinali fossero così numerosi né era facile a un francescano divenire cardinale). Questo cardinale non può che essere quel Francesco della Rovere,  che da Ministro generale dell’ordine dei frati minori conventuali fu fatto cardinale da Paolo II nel 1467 e che nel 1471 gli succedette nel papato col nome di Sisto IV. Con un po’ di fantasia, nonostante l’abito cardinalizio, potremmo già ora dare un significato in chiave… papale ai tre gradini della scala (il triregno), alle due chiavi arrugginite (le chiavi di Pietro) che si vedono appese sul lato destro della libreria, alla cattedra cui siede (entro”la chiesa”) e perfino alla mantella, che non è di stoffa, ma di un non ben specificato pelo di animale che potrebbe essere l’ermellino, non ovviamente quello candido papale ma quello che ha cambiato colore ( in estate il colore dell’ermellino e simile a quello che si vede nel dipinto). Qualcuno però potrebbe già storcere il muso e, del resto, questi pochi segni sono, sì, utili per metterci sulla giusta strada, ma non per darci la certezza che cercavamo. Per fortuna Antonello non è stato così avaro e ci regala altri segni per indicarci che proprio di “lui” si tratta, ma lo fa ,divertendosi, nel modo più bizzarro che si possa immaginare.

Molti di coloro che hanno commentato il quadro hanno sottolineato alcune evidenti anomalie o irregolarità di tipo spaziale–architettonico (lo strano colonnato di destra, le altissime arcate tardogotiche, l’improbabile collocazione della grande libreria…) che confondono le idee circa il luogo reale in cui si svolge la scena (chiesa, convento o che altro?), tanto da far pensare che Antonello abbia realizzato una “compositio loci” di significato solo metafisico. Anche se la cosa è vera, non spiega però perché il pittore abbia utilizzato quei precisi elementi al posto di altri pure possibili e qual è il loro significato “metafisico”. Chi pensasse a qualcosa di troppo elevato sarebbe fuori strada , perché i veri motivi di quelle scelte sono assai meno seriosi e sono i seguenti.

Il corridoio colonnato coperto che si vede sulla destra – che non può essere una navata laterale – è un ben determinato elemento architettonico che  gli architetti del tempo di Antonello denominavano con l’antico termine tecnico di …SISTO. Il sisto ( lat. xystus, gr.xustòs) presso i greci era una galleria coperta o un corridoio colonnato ove si allenavano gli atleti nei  loro ginnasi; i romani lo usavano nelle loro ville e nei giardini per passeggiare e disputare. Il significato della parola greca xustòs  (da xuo) è quello di  “rasato, levigato “ e ciò si riferiva al pavimento che doveva essere particolarmente levigato  e lucido per permettere agli atleti di allenarsi  senza farsi male (i greci si allenavano nudi). E’ ovvio che Antonello conosceva benissimo cosa fosse un sisto (lo cita anche Vitruvio[v]) e conosceva pure (o gli fu spiegato) il significato della parola greca, tanto da impegnarsi con meticolosa cura a esaltare la levigatezza e lucentezza del pavimento, sfruttando in modo mirabile gli effetti di luce fredda radente che filtra dalle basse finestre dello sfondo (ecco il significato metaforico del pavimento!).  Non c’è bisogno di spiegare la facile allegoria dell’innesto  all’interno della struttura di una chiesa di un elemento estraneo di origine pagana: la casa di Dio trasformata in un ginnasio per colpa di Sisto!…

Dopo che Antonello ci ha mostrato il “sisto”, vediamo se egli ci mostrerà anche il “quarto”. Questa volta  dobbiamo rivolgere gli occhi sulle arcate a sesto acuto dell’abside. Un altro termine tecnico con cui veniva denominato al tempo di Antonello l’arco a sesto acuto era… QUARTO. Il quarto era appunto nel gergo architettonico un arco a sesto acuto. Solo per citare un esempio, ancora il Vasari (che odiava lo stile nordico) adopera nelle Vite questo termine : “Girarono le volte con quarti acuti e riempirono tutta l’Italia con questa maledizione di fabbriche[vi]. Il gioco di parole sisto–quarto = sesto–quarto suggerì ad Antonello l’idea di tradurlo spiritosamente in immagini, riempiendo la volta sovrastante il cardinale di quarti e di sesti (ecco spiegato anche lo stile tardogotico!). E a proposito di giochi di parole (si gioca ancora oggi con le parole e si giocava molto di più allora) , non credo sia sfuggito ad Antonello nel rappresentare il cardinale seduto solidamente sul …soglio pontificio al quarto gradino (ne ha tre sotto di sé) anche quest’altro assai spiritoso: sisto quarto = sto ben saldo come quarto (dei sisti).

Possiamo ora dire di aver una discreta sicurezza sull’identità del personaggio, ma il buon Antonello non vuole lasciarci ancora con qualche dubbio e ci regala pure … l’insegna araldica di famiglia del cardinale, adoperando a questo scopo il grande mobile in legno che domina tutta la scena. Al primo impatto gli occhi sono attratti dalla stranissima forma di questa libreria sollevata  (che sembra quasi un catafalco) e dai numerosi oggetti sparsi un po’ dappertutto e vien da sospettare  che vi siano celati ovunque significati metaforici; qualcuno li ha anche cercati nel numero degli scaffali o nelle tre piccole arcate della pedana (cosa pure possibile). Quel che è stato del tutto trascurato, pur essendo stato posto in grande evidenza, è il materiale con cui essa è stata costruita. Tra i tanti legni possibili che avrebbe potuto scegliere, Antonello utilizza il rovere e ne dipinge le venature e i pori con grande cura. Non è difficile capire il perché: il nome del casato di Sisto IV era …DELLA ROVERE e l’insegna araldica erano delle foglie di rovere intrecciate. Poteva essere scelto un legno diverso? Giusto per completare l’anagrafe familiare diciamo che anche il leone faceva parte delle insegne di famiglia: la madre di Sisto IV era una… MONLEON, cosa di cui Antonello era sicuramente informato.

E’ utile, ritengo, a questo punto, prima di inoltrarci nella lettura dei restanti simboli, dare qualche breve notizia storica  sulla figura assai controversa di questo papa. Il giudizio degli storici moderni sul conto di papa Sisto IV, tenendo conto delle condizioni generali dell’epoca, è tutto sommato abbastanza benevolo: è vero che egli praticò il nepotismo più sfacciato, che fu un maneggiatore politico fra i più scaltri e spregiudicati, che prosciugò le casse del vaticano, che fu un assolutista quanto altri pochi; ma è pur vero che si adoperò a favore degli ordini mendicanti, si battè per organizzare la crociata, fu un gran costruttore (Cappella Sistina, Ponte Sisto…) e anche ottimo mecenate, proteggendo letterati e artisti e rifondando la famosa Biblioteca Vaticana. Non così benevolo fu il giudizio dei contemporanei, che lo accusarono di nefandezze di ogni genere  e videro in lui una specie di diavolo. Forse il miglior modo per rendersi conto dell’odio popolare nei confronti di questo papa è quello di presentare una famosa pasquinata che fu divulgata per la sua morte (augurale?):

Sisto, sei morto alfine: ingiusto, infido giace chi la pace odiò tanto in sempiterna pace.

Sisto, sei morto alfine: e Roma ecco in letizia, che te regnante fame soffrì, strage e nequizia.

Sisto, sei morto alfine: tu di discordia eterno motor fin contro Dio, scendi nel cupo inferno.

Sisto, sei morto alfine: in ogni inganno destro, in frodi, in tradimenti altissimo maestro.

Sisto, sei morto alfine: orgia di sozzi pianti ti dan ruffiani, cinedi, meretrici e baccanti.

Sisto, sei morto alfine: obbrobrio e vituperio del papato, sei morto alfine, Sisto, è vero?

Sisto, sei morto alfine: su, su, gettate a brani le scellerate membra in pasto ai lupi e ai cani!

 

Adesso finalmente possiamo dare ai vari simboli del dipinto di Antonello un significato assai meno generico e comprenderne appieno il contenuto allegorico, che è, come vedremo, certamente assai più velenoso e devastante della precedente pasquinata in versi..

. Partendo dalla pernice – e facendo notare la parentela lessicale con  pernicies =  “disgrazia” – , è a molti noto che questo simpatico uccello, per la sua abitudine di rubare e covare le uova altrui, era considerato il simbolo per eccellenza della lussuria più sfrenata, una specie di prostituta della razza avicola. E a proposito di lussuria se ne raccontavano sul conto di Sisto Quarto e del suo entourage di tutti i colori : si andava dalle normali pratiche lussuriose a quelle assai più spinte e depravate, tanto che resiste ancora oggi nei paesi protestanti l’antica diceria che Sisto Quarto avesse aperto a Roma (molto in anticipo coi tempi) un bordello per entrambi i sessi e che avesse accordato al cardinale di Santa Lucia (a nome di tutti gli altri) il permesso di praticare la sodomia…ma solo nei tre mesi estivi. Che queste accuse fossero false o esagerate non è difficile crederlo, ma ciò che a noi qui interessa è che esse circolavano al tempo di Antonello e viene da pensare che la seconda di queste dicerie sia stata perfidamente rappresentata dal pittore per mezzo di quella mantella che abbiamo ipotizzata di ermellino, animale che assume quel colore proprio in estate. Un epigramma in lingua latina, scritto da Antonio Campano mentre il papa era ancora in vita (anche se lo si immagina auguralmente morto) ci dà l’idea di quanto queste voci fossero diffuse e come si facesse riferimento, in modo neppure tanto velato, a precisi personaggi della corte papale:

 

        Campanus in morte Sixti iiii                                                          Campano in morte di Sisto IV

Plorent Salviatus Petrum Tyresia & Agnus                                       Piangano il papa Salviato, Tiresia e Agnella:

Hic leno hic meretrix ille cinedus fui[vii]t.                                              ruffiano l’uno, puttana l’altro,sodomita il primo

 

Abbandoniamo per ora la lussuria della pernice e passiamo al pavone, altro simpatico animale considerato il simbolo della superbia e scelto non a caso da Antonello. Si diceva che Sisto IV fosse uomo coltissimo e che andasse assai orgoglioso di essere stato definito dal Bessarione l’uomo più colto d’Italia, cosa di cui andava pavoneggiandosi. L’avere allineato il collo eretto del pavone con quello altrettanto eretto del cardinale significava per Antonello fare di quest’ultimo la perfetta antitesi di San Girolamo, al quale si attribuiva la seguente frase, riportata dalla Legenda aurea di Iacopo da Varagine: “Nulla, fin dall’infanzia, ho cercato di evitare con tanto impegno quanto un’anima gonfia di superbia o un collo eretto nella protervia, che provocano l’odio di Dio[viii]”. Credo che il Girolamo di Antonello sia l’unico in tutte le rappresentazioni artistiche del medesimo soggetto ad avere una postura così rigida e impettita, e forse basterebbe questo solo elemento per farci sospettare che il pittore intendesse sottolinearci una qualità assolutamente non riferibile a quel santo che si macerò nel deserto prima di dedicarsi ai libri.

Veniamo infine a quel misterioso bacile che sta sulla destra e che il Michiel, che per primo descrisse il quadro (1524), ci assicura essere “da barbiere expressamente”. Il bacile da barbiere fa pensare alla barba ed è facile qui capire a cosa Antonello faccia riferimento, dal momento che ci è fin troppo evidenziato (anche per via degli zoccoli lasciati ai piedi della scala) come quel cardinale che sta sul soglio, di francescano abbia ormai ben poco, essendosi liberato anche della barba. Meno facile è capire perche Antonello abbia allineato questi tre simboli nell’ordine in cui li vediamo e in così enfatica evidenza. Il motivo è questo: entrambi gli uccelli cominciano (non casualmente) conla Pe P.P. è l’abbreviazione di PAPA che con l’aggiunta del bacile sappiamo che è SISTO o XUSTOS e cioè…”rasato” = PAPA RASATO. Poteva Antonello essere più chiaro di così?

Quel bacile, però, non ha solo un significato così blando e spiritoso, perché, anche se pare vuoto, ciò che esso contiene  è  il veleno più micidiale e l’allusione più pesante di quante se ne facevano sulle abitudini sessuali del papa. Girava voce infatti che Sisto Quarto avesse un debole per il figlio del suo barbiere, un  fanciullo dodicenne e che ne fosse invaghito a tal punto, da dotarlo di ricchezze e rendite e di un importante vescovato,  e lo avrebbe fatto addirittura cardinale, se il ragazzo non fosse morto prematuramente[ix].  Ho il forte sospetto, per via di quella inutile precisazione “expressamente”, che sia il Michiel sia il Pasqualino (che era il proprietario del quadro) conoscessero assai bene il significato di quel bacile e che sapessero pure chi fosse stato l’autore del quadro (che difatti viene nominato per primo) e che abbiano voluto mischiare le carte facendo altri nomi solo per proteggere da ritorsioni la memoria di Antonello, e anche le sue ossa (che forse riposavano a Venezia).

Non mi sembra necessario né mi pare generoso ritornare a occuparci in chiave antisistica (forse pure con avido compiacimento) del significato della tovaglia sporca, del gatto, delle chiavi  arruginite, dell’ermellino e di altri riferimenti pruriginosi e allegorie malevole che non  sarebbe difficile ancora scovare.Altri lo facciano; noi ci fermiamo qui.

 

 

Ci fu un committente?

 

 

Una delle curiosità inappagate di molti studiosi è quella relativa alla committenza. Alcuni hanno sperato di arrivare al committente attraverso le sembianze del cardinale ritratto e si son fatte pure delle ipotesi.. Alla luce di quanto ormai già sappiamo questa speranza crolla del tutto e il problema è destinato a rimanere irrisolto. Ma è proprio necessario pensare che quest’opera abbia avuto un committente?. Per tutto quello che abbiamo rilevato circa i sentimenti di Antonello nei confronti di questo papa,  io non mi meraviglierei se Antonello abbia in questo particolare dipinto espresso solo se stesso, scaricando tutto il suo sdegno dantesco nei confronti di tutti gli ecclesiastici corrotti e segnatamente verso colui che egli considerava  il massimo traditore del francescanesimo e del Cristo stesso. Quanto a trovare un acquirente sul mercato veneziano non c’erano problemi: il dipinto era di ottima fattura e poteva anche essere venduto come un normalissimo San Girolamo ; e se anche fosse stato capito o spiegato dallo stesso pittore nell’ultimo dei suoi significati, non c’era mercato forse  più adatto di quello veneziano. L’idea di dipingere il quadro poté venire ad Antonello poco dopo il suo arrivo a Venezia (1475) . In questo preciso periodo i rapporti di questa col papato erano pessimi a motivo delle mire espansionistiche di Sisto IV sui territori della Romagna (Imola) a pro del nipote Girolamo Riario, che minacciavano di destabilizzare anche gli stati vicini, tanto da avere indotto i veneziani  il 2 novembre 1474 a stringere alleanza con Firenze e Milano (la Santissima Lega) allo scopo di contrastarne il passo (sarà lo stesso Sisto IV qualche anno dopo a fomentare a Firenze la famosa congiura dei Pazzi contro il Magnifico). Ad ispirare inizialmente ad Antonello  la scena del leone (simbolo di Venezia) con la spina al piede, e col papa che gli volta le spalle, furono forse questi fatti e gli umori che percepiva fra la gente .  Antonello sapeva che in quel frangente storico quell’allegoria dal significato attualissimo sarebbe stata molto apprezzata dai nobili veneziani;  non c’è alcun motivo perciò di pensare a speciali committenze[x].

Tuttavia non si può escludere che un committente ci sia stato, e se ci fu, doveva essere certamente persona molto colta, oltre che nemico giurato di papa Sisto Quarto: ce n’erano tanti a Venezia e ce n’erano molti anche altrove. Mi pare assai significativo che nel corso del ‘600 il quadro divenne proprietà di uno dei Colonna, i nemici storici dei Della Rovere e in particolare di Sisto IV: tenere quel quadro in casa e mostrarlo agli amici fidati dovette essere per molto tempo fonte di grande soddisfazione e di spasso per  i Colonna.

 

Conclusione

 

Mi pare inutile aggiungere ulteriori considerazioni a ciò che dovrebbe ormai avere tutti i caratteri dell’evidenza, fermo restando che ciascuno è libero di mantenere l’opinione che crede. Ci si può comunque legittimamente chiedere se davvero Antonello ebbe presenti nel concepire e realizzare il dipinto tutti e quattro i livelli di lettura da noi suggeriti nella forma e nell’ordine in cui sono stati esposti. La nostra risposta è positiva (e semmai le letture proposte peccano per difetto), anche se, com’è ovvio, bisogna capovolgere l’ordine con cui l’artista costruì, prima mentalmente e poi sulla tavola, il suo Girolamo nello studio L’idea di partenza che gli suggeri la prima impostazione dell’opera  fu certamente quella della pasquinata contro Sisto IV, ma tutto il grande lavoro successivo fu di renderla fruibile, attraverso i più abili camuffamenti, a tutti i livelli sottostanti di lettura, fino all’ultimo, mettendo specialissima cura  nel camuffare anche la tecnica pittorica al punto di far sembrare il dipinto non suo , ma di qualche ignoto fiammingo. Bisogna riconoscere che ciò gli riuscì miracolosamente bene, se è vero che quest’opera fa discutere e appassiona ancora oggi pubblico ed esperti d’arte, pur essendo fruita solo ai primi due livelli di lettura.

Non è questa la potenza del genio?

 

                                                                                                                                 Marcello Espro

 

 

 

 


[i] L. Puppi, Antonello da Messina, san Girolamo nello studio, Milano 2003.

[ii] M. Lucco, Antonello da Messina, San Girolamo nello studio, in: Antonello da Messina, l’opera completa,    catalogo della mostra a cura di M. Lucco; coordinamento scientifico di G.C.Villa, Cinisello Balsamo 2006.

[iii] Cfr. ad es. E.H.Gombrich, Immagini simboliche: studi sull’arte del rinascimento, Torino 1978, p.23.

[iv] G.Miligi, Francescanesimo al femminile: Chiara d’Assisi ed Eustochia da Messina, Messina 1994, p.59 e ss.

[v] Vitruvius Pollio, De architectura, Libro V, XI, 4.

[vi] G.Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, Firenze 1966, Vol. I, p.68.

[vii] L’epigramma di Antonio Campano (1429-1477) compare in un manoscritto latino del sec. XVI conservato alla Biblioteca Marciana di Venezia (classe XII n.210=4689, carte 80v.) ed è citato da Giovanni Dell’Orto nell’articolo  (pubblicato di recente su www. Giovanni dallorto.com) Sisto IV (Francesco Della Rovere,1414-1484),  dedicato al problema delle accuse di omosessualità  e sodomia mosse già dai contemporanei al pontefice e a personaggi della sua corte, fra cui quel Salviatus, che è sicuramente da identificare con Francesco Salviati, arcivescovo di Pisa, che fu il principale organizzatore della  Congiura  dei Pazzi  (1478) e che finì impiccato a una finestra dai seguaci dei Medici in seguito al fallimento della congiura.

[viii] Jacopo da Varazze,  Legenda Aurea, a cura di A. e L.Brovarone, Torino 1995, p.809.

[ix] Questo e altri pettegolezzi furono raccolti nel suo Diario (1484) dal cronista Stefano Infessura (1440-1500). Ne riportiamo qualche passo traendolo dal citato articolo di  Dall’Orto: “Costui, come è tramandato dal popolo, e i fatti dimostrarono, fu amante dei ragazzi e sodomita, infatti cosa abbia fatto per i ragazzi che lo servivano in camera lo insegna l’esperienza…E che dire del figlio del barbiere? Costui, fanciullo di nemmeno dodici anni, stava di continuo con lui, e lo dotò di tali e tante ricchezze, buone rendite e, come dicono, di un importante vescovato; costui, si dice, voleva elevarlo al cardinalato, contro ogni giustizia, anche se era bambino, ma dio vanificò il suo desiderio”. Cfr. S.Infessura, Diario della città di Roma (1303-1494), Ist.St.It., Tip. Forzani, Roma 1890, pp.155-156.

[x] Questa datazione dell’opera corrisponde a quella che la maggior parte degli storici dell’arte, basandosi su considerazioni stilistiche, hanno ipotizzato come la più probabile, e a cui conviene prudentemente attenersi. Ci sono però diversi elementi che suggerirebbero una datazione posteriore di due o tre anni ed è bene metterli qui in rilievo. Innanzitutto mi sembra lecito ipotizzare che Antonello conoscesse (direttamente o indirettamente) il famoso affresco vaticano di Melozzo da Forlì (completato nel 1477) e che abbia realizzato il suo Girolamo-Sisto in chiave polemicamente antitetica (la chiesa trasformata in ginnasio, l’allusione agli zoccoli, il pavone, l’ambiente tetro e del tutto in contrasto con lo stile architettonico e l’aulica luminosità del dipinto di Melozzo, la figura di Sisto presa di  profilo etc.). Vi sono inoltre altri particolari nel dipinto di notevole interesse (cortesemente sottoposti alla mia attenzione da  parte di alcuni amici), che sembrerebbero addirittura alludere all’episodio luttuoso e sanguinoso della Congiura dei Pazzi: il cimitero con l’alto cipresso e una figura vestita di rosso visibili nel paesaggio di sinistra; la candela nera sul pavimento accanto alla testa del pavone (si intravede pure, confuso tra i disegni, l’alone di una pallida fiammella), che è un simbolo di morte; la tovaglia o salvietta, che sembra sporca di sangue (se ne vedono anche delle gocce) , e potrebbe essere un’allusione sia al barbiere (che era pure cerusico) sia al Salviati, uno dei principali protagonisti della congiura; come può essere una perfida allusione al  “sodomita “ Salviati l’oggetto appeso accanto alla tovaglia che sembra essere un clistere (simbolo di sodomia). Se a ciò aggiungiamo la studiata artificiosità dello stile  e le sdegnose clausole anticlericali del testamento dettato sul letto di morte, non mi pare insostenibile l’ipotesi che Antonello abbia, se non ideato, almeno completato il dipinto nell’ultimo anno di vita, sotto l’onda emotiva dei gravi fatti di Firenze.